Il museo dell’innocenza
La vita, le convenzioni e il caso trasformano il colpo di fulmine tra Kemal e Füsun prima in una passione erotica travolgente e poi in un interminabile, languido corteggiamento. Per otto anni Kemal sarà al fianco di una donna seducente e irraggiungibile, nell’attesa e nella speranza di realizzare il suo sogno d’amore. Nel primo romanzo dopo il Premio Nobel (2006), Pamuk ci regala lo struggente ritratto di un incontro e la storia indimenticabile di un’epoca e di una città, la sua, Istanbul.
Prima pubblicazione: 29 agosto 2008
Autore: Orhan Pamuk
Paese: Turchia
Traduttrice: Maureen Freely
OCLC: 276510603
Generi: Narrativa
Orhan Pamuk
Pamuk nasce ad Istanbul il 7 giugno del 1952 da una benestante famiglia borghese dalle alterne fortune; il padre, di origine circassa da parte di madre, fu il primo dirigente della sezione turca dell’IBM. Il cognome Pamuk significa “cotone” in turco e, come spiegato dallo stesso scrittore nel suo libro autobiografico Istanbul, venne scelto dalla famiglia paterna, a seguito della legge sul cognome del 1934, in riferimento alla loro carnagione chiara. Il giovane Orhan viene istruito al liceo americano Robert College di Istanbul. Su pressione della famiglia, si iscrive in seguito presso la facoltà di architettura dell’Università Tecnica di Istanbul, per poi abbandonarla dopo tre anni per dedicarsi alla letteratura. Si laurea quindi presso l’Istituto di Giornalismo dell’Università di Istanbul nel 1977. Nel 1982, Pamuk sposa Aylin Turegen, con la quale dà alla luce una figlia di nome Rüya, e dalla quale divorzierà poi nel 2001. È “visiting scholar” alla Columbia University di New York dal 1985 al 1988, periodo che comprende una breve posizione come “visiting fellow” alla University of Iowa. Dopo la breve parentesi statunitense, torna definitivamente a Istanbul.
Pamuk, che ha precedentemente rifiutato il titolo di “artista di Stato” dal governo turco, viene incriminato nel 2005, a seguito di alcune dichiarazioni fatte a una rivista svizzera riguardanti il massacro, da parte dei turchi, di un milione di armeni (cioè il genocidio armeno) e trentamila curdi in Anatolia durante la Prima guerra mondiale. La legge turca infatti proibisce di definire di tali avvenimenti un “genocidio” (art. 301 del codice penale, “vilipendio dell’identità nazionale”). Il processo, che ha attirato l’attenzione della stampa internazionale, è iniziato il 16 dicembre 2005 ma è stato successivamente sospeso in attesa dell’approvazione del ministro della giustizia turco. Nonostante il grande successo riscosso in patria, una significativa parte dell’opinione pubblica turca si è schierata contro Pamuk: un sottoprefetto di Isparta ha ordinato la distruzione dei suoi romanzi nelle librerie e biblioteche mentre una TV locale ha proposto di ritrovare una studentessa che aveva ammesso di possederne uno. Le accuse sono state ritirate il 22 gennaio 2006 con la motivazione che il fatto non costituisce reato per il nuovo codice penale.
Il 12 ottobre 2006 viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura, diventando così il primo turco a ricevere il prestigioso riconoscimento.
Il 2 febbraio 2007 viene diffusa la notizia di una sua partenza a tempo indeterminato verso gli Stati Uniti. Lo scrittore era stato minacciato recentemente di morte da uno degli attentatori di Hrant Dink. Negli ultimi giorni di gennaio 2007 era peraltro al Cairo dove era in corso l’annuale Fiera del Libro e in tale città s’è intrattenuto con il noto scrittore emergente egiziano ʿAlāʾ al-Aswānī. In una recente intervista Pamuk ha tuttavia precisato che non si tratta di un allontanamento definitivo, ma che attualmente fa la spola tra New York, dove insegna, e la Turchia.
Nel 2009 è stato insignito del titolo di duca di Colores dal sovrano del Regno di Redonda.
Nel 2012 riceve il Premio Sonning, premio conferito a personalità che si siano particolarmente distinte per il loro contributo alla cultura europea.
Nel 2017 riceve il Premio letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa per La donna dai capelli rossi per aver affrontato i temi della pace e della convivenza tra i popoli.
Opera
Pamuk inizia a scrivere con regolarità nel 1974. Il suo primo romanzo, Karanlik ve Isik (Oscurità e luce) consegue il premio letterario Milliyet nel 1979, ex aequo con Mehmet Eroğlu. Il romanzo viene successivamente pubblicato nel 1982 con il titolo Cevdet Bey ve Oğulları (Il signor Cevdet e i suoi figli), e vince il premio Orhan Kemal nel 1983. Narra la storia di tre generazioni di un’agiata famiglia di Nisantasi, il quartiere di Istanbul dove Pamuk è cresciuto.
Pamuk vince diversi importanti premi per i suoi primi lavori, tra cui il Premio Madarali 1984 per il secondo romanzo Sessiz Ev (La casa del silenzio) e il Prix de la Découverte Européenne 1991 per la traduzione francese dello stesso. Il romanzo storico Beyaz Kale (Roccalba, letteralmente Il castello bianco), pubblicato nel 1985, vince l’Independent Award for Foreign Fiction 1990 estendendo la sua reputazione all’estero. La The New York Times Book Review dichiara, “Una nuova stella è sorta ad oriente–Orhan Pamuk.” A questo punto, Pamuk comincia ad incorporare tecniche e modalità narrative tipiche della letteratura postmoderna all’interno della struttura narrativa dei propri romanzi, adoperando ampiamente tecniche metaletterarie ed intertestuali, allontanandosi così dallo stretto naturalismo dei suoi primissimi lavori.
Il successo popolare arriva nel 1990 con il romanzo Kara Kitap (Il libro nero) che diventa rapidamente una delle letture più controverse della letteratura turca, grazie alla notevole complessità e ricchezza narrativa. Nel 1992, scrive la sceneggiatura per il film Gizli Yüz (Il volto segreto), basato su Kara Kitap e diretto dal regista turco Ömer Kavur. Il quarto romanzo, Yeni Hayat (La nuova vita), è, nel 1995, un successo immediato in Turchia e diventa presto il più rapido best seller nella storia del paese. A questo punto Pamuk è una figura di spicco nel panorama intellettuale turco, anche a causa del suo sostegno ai diritti politici della minoranza curda. Nel 1995 Pamuk è tra un gruppo di autori e scrittori sotto processo per aver criticato, in una serie di saggi, la politica del governo turco nei confronti dei curdi. Nel 1999, Pamuk pubblica la storia in Öteki Renkler (Gli altri colori).
La reputazione internazionale di Pamuk cresce, nel 2000, in seguito alla pubblicazione di Benim Adım Kırmızı (Il mio nome è rosso). Il romanzo, ambientato nell’Istanbul del XVI secolo, mescola mistero, passione e filosofia. Viene tradotto in ventiquattro lingue (in Italia dalla Einaudi) e vince, nel 2003, il più remunerativo dei premi letterari internazionali, l’International IMPAC Dublin Literary Award. Il mio nome è rosso è anche vincitore del premio Grinzane Cavour 2002.
Il romanzo Kar (Neve) (2002), che esplora il conflitto tra islamismo e occidentalismo nella Turchia moderna, è il primo lavoro dichiaratamente politico di Pamuk. Rispetto ai precedenti lavori, per la maggior parte ambientati ad Istanbul, la scena si sposta nella Turchia orientale e, prendendo spunto da cronaca recente, segue l’inchiesta di un giornalista alla ricerca delle motivazioni di una serie di suicidi di ragazze adolescenti. The New York Times inserisce Kar tra i dieci migliori romanzi del 2004.
Nel 2003 pubblica un volume di memorie, Istanbul, Hatıralar ve Şehir (Istanbul. Le memorie e la città), dove ricordi d’infanzia si mescolano alla storia della città, attraverso la testimonianza diretta ma anche attraverso le letture dei giornali d’epoca, le descrizioni dei viaggiatori occidentali o le riproduzioni artistiche della capitale dell’impero ottomano.
L’opera di Pamuk è caratterizzata dal tema dell’identità. Se ad una prima lettura questo può essere ricondotto al conflitto tra i valori dell’occidente europeo e la cultura islamica, non è possibile escludere una più profonda radice psicologica. I romanzi, che lasciano spesso in sospeso la soluzione di tale conflitto, presentano trame complesse e personaggi di grande profondità, particolarmente i primi, dove l’elemento biografico è più evidente. L’Istanbul contemporanea e dell’Impero ottomano non si limita a fare da sfondo alle vicende umane ma assume la qualità di personaggio, di organismo vivo, con una sua storia da raccontare.
Istanbul
In questo lavoro letterario Pamuk descrive la profonda malinconia dei suoi concittadini, lo hüzün in turco. Esso sarebbe inseparabilmente legato alla vita quotidiana di Istanbul. Secondo lui è una malattia incurabile con la quale si sono infetti tra loro gli abitanti durante il secolo scorso. Non è dunque la tristezza del singolo, ma quella di milioni di persone – è lo hüzün di un’intera città. Questo stato d’anima disperato si riconoscerebbe dall’abbigliamento grigio della folla sul ponte di Galata. Grandi moschee e palazzi storici dei giorni della gloria ottomana stanno in netto contrasto con il generale degrado di Istanbul. Il declino sotto gli occhi di tutti provoca uno hüzün che farebbe cadere in letargia la città. Durante la pioggerella continua d’inverno è palpabile la sensazione di bianco e nero.
Modesto Manifesto per i musei
Amo i musei, e non sono l’unico a pensare che ogni giorno che passa mi fanno più felice, lo prendo i musei sul serio e questo a volte mi porta ad arrabbiarmi, ma io non sono una persona che può parlare con rabbia. Quando ero un bambino, a Istanbul, c’erano pochissimi musei: c’erano monumenti storici che si erano conservati oppure, cosa che è abbastanza rara al di fuori del mondo occidentale, musei che avevano un aspetto da uffici governativi. Più tardi, i piccoli musei che ho incontrato nelle strade delle città europee mi hanno portato a rendermi conto che (così come i romanzi) i musei possono anche parlare delle persone. Questo non significa sminuire l’importanza del Louvre, del Metropolitan, del Palazzo Topkapi, del British Museum o del Prado, che sono tutti veri tesori della specie umana. Ma io sono contro il fatto che queste preziose istituzioni monumentali siano utilizzate come modelli per costruire i futuri musei. I musei devono esplorare e scoprire l’universo ma anche l’uomo nuovo e moderno che emerge soprattutto dalle nazioni non-occidentali, sempre più ricche. Lo scopo delle grandi sponsorizzazioni degli Stati ai musei, invece, è ottenere la rappresentazione dello stesso Stato. Questo obiettivo non è né buono né innocente.
Vorrei delineare, ora, i miei pensieri al riguardo in maniera ordinata:
- I grandi musei nazionali come il Louvre e il Museo dell’Ermitage hanno preso forma e si sono votati a finalità essenzialmente turistiche, quando i palazzi reali e imperiali sono stati aperti al pubblico. Queste istituzioni, ora simboli nazionali, presentano la storia di una nazione (cioè la storia) come qualcosa di molto più importante degli stessi individui. Questo è un peccato: le storie delle persone esprimono molto più profondamente la nostra umanità.
- È facile vedere che la transizione dal palazzo d’epoca al museo nazionale è un processo parallelo a quello dalla narrazione epica al romanzo. L’epica è paragonabile ai palazzi e parla delle gesta eroiche degli antichi re. I musei nazionali, allora, dovrebbero essere come i romanzi, ma non lo sono.
- Siamo stanchi di musei che cercano di assemblare le narrazioni storiche di una società, di una comunità, di una squadra, di una nazione, di popoli, società o specie. Sappiamo tutti che le storie di vita quotidiana e quelle ordinarie degli individui, sono più ricche, più umane e molto più gioiose rispetto alle storie delle grandi culture.
- Dimostrare la ricchezza della storia e della cultura cinese o indiana o messicana o iraniana o turca, non è un problema; è necessario farlo, naturalmente, ma non è una cosa difficile da fare. La vera sfida consiste nell’utilizzare i musei per raccontare le storie dei singoli esseri umani che vivono in quei paesi con la stessa luminosità, profondità e intensità.
- La misura del successo di un museo non dovrebbe essere la sua capacità di rappresentare uno stato, una nazione, una società o un determinato periodo storico. Dovrebbe essere, piuttosto, la sua capacità di rivelare l’umanità degli individui.
- E’ un imperativo che i musei divengano più piccoli, più individualisti e meno costosi. Questo è l’unico modo che un giorno ci permetterà di raccontare storie a misura d’uomo. I grandi musei, con le porte ad ala di gabbiano, si dimenticano della nostra umanità per abbracciare, invece, lo Stato e accomunare tutti gli uomini in una massa umana indistinta. Ecco perché milioni di persone, al di fuori del mondo occidentale, hanno paura di entrare nei musei.
- L’obiettivo dei musei presenti e futuri non dovrebbe essere quello di rappresentare lo Stato, ma quello di ricreare il passato dei singoli esseri umani; gli stessi esseri umani che hanno lottato sotto un’oppressione implacabile per centinaia di anni.
- Le risorse destinate alla creazione di musei monumentali e simbolici dovrebbero essere piuttosto destinati a musei più piccoli che raccontano la storia degli individui. Quelle risorse dovrebbero essere dedicate anche a incoraggiare e sostenere le persone in modo che esse convertano le loro piccole case in spazi espositivi.
- Se gli oggetti non vengono sradicati dai loro ambienti e dalle loro strade, ma sono collocati con cura e ingegnosità nella propria casa naturale, essi stanno già esprimendo le proprie storie.
- 10 Gli edifici monumentali che dominano la città e i quartieri non mettono in evidenza la nostra umanità; al contrario, la soffocano. È più umano essere in grado di immaginare modesti musei che trasformino i quartieri, le strade, le case e i negozi intorno, in elementi che fanno parte di una esposizione.
- Il futuro dei musei è dentro le nostre case.
Il quadro, in realtà, è semplice:
Epica/Romanzo
Rappresentazione/Espressione
Monumenti/Case
Storia/storie
Nazioni/Persone
Gruppi, società/individui
Grande e costoso/Piccolo ed economico
Il museo di Istanbul
Il museo dell’innocenza (in turco: Masumiyet Müzesi) è un museo letterario che si trova nel quartiere di Çukurcuma nel distretto Beyoğlu della città di Istanbul in Turchia.
Lo scrittore turco Orhan Pamuk, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 2006, creò il museo durante la stesura del suo romanzo omonimo. Il museo e il romanzo, che si sono sviluppati contemporaneamente, sono incentrati sulle storie di due famiglie di Istanbul. Il 17 maggio 2014 è stato annunciato che il museo aveva vinto il Premio del museo europeo dell’anno 2014.
La narrazione e il museo offrono uno scorcio di vita della borghesia di Istanbul dal 1970 ai primi anni 2000.[2] Il romanzo narra nei dettagli la storia di Kemal, un ricco che si innamora della cugina povera, mentre il museo raccoglie gli oggetti che raccontano la loro storia d’amore. Il museo presenta ciò che i personaggi del romanzo hanno “utilizzato, indossato, sentito, visto, raccolto e sognato, il tutto meticolosamente disposto in scatole e vetrine.”
La collezione, che comprende più di un migliaio di oggetti, è ospitato in una casa del XIX secolo, in un angolo di Çukurcuma Sk e Sk Dalgic.
Storia
Pamuk iniziò a raccogliere oggetti per il museo a metà degli anni 1990, al fine di “esporre in un museo i veri oggetti di una storia di fantasia e di scrivere un romanzo sulla base di questi oggetti”. Alcuni degli oggetti esposti nel museo furono donati da familiari e amici dello scrittore, mentre altri furono trovati in altre parti di Istanbul o raccolti da tutto il mondo.
Pamuk non ha specificato se gli oggetti siano direttamente legati alla propria vita, tuttavia egli sostiene che la narrazione del museo dovrebbe riflettere quella del romanzo e non la sua autobiografia.
Dopo la pubblicazione del romanzo in Turchia nel 2008, la collezione del museo è stata messa a punto , insieme ad un team multidisciplinare di artisti, designer e architetti. Il museo ha aperto le sue porte nel mese di aprile 2012.
Esposizione
Situato in una zona di Istanbul famosa per i vecchi negozi di antiquariato che si allineano lungo i suoi vicoli, il museo rispecchia il carattere unico di oggetti di uso quotidiano negli anni 1970 della borghesia di Istanbul.
Si compone di una serie di esposizioni, ciascuno corrispondente ad uno dei 83 capitoli del romanzo. Secondo la narrazione, questi oggetti sono stati raccolti e organizzati da Kemal, il protagonista del romanzo, e rappresentano i suoi ricordi di Füsun e della sua storia d’amore raccontata in tutto il romanzo.
Le vetrine presentano, ad esempio, una grande teca di vetro contenente 4.213 mozziconi di sigaretta tutte fumate da Füsun, una collezione di saliere, dipinti e mappe delle strade di Istanbul in cui la narrazione si svolge.
Tutti i quattro piani del museo fanno riferimento al romanzo e all’epoca passata in cui si svolge il libro.
Nonostante la simbiosi tra il museo e il romanzo, Pamuk sostiene che il museo e il romanzo possono essere vissuti indipendentemente l’uno dall’altro: “proprio come il romanzo è del tutto comprensibile senza una visita al museo, così il museo è un luogo che può essere visitato e vissuto da solo”.
Pamuk ha sviluppato parallelamente l’idea del museo e del romanzo sin dall’inizio, cosicché il museo non è basato sul romanzo e viceversa.
Manifesto per i musei
Nel catalogo del museo L’innocenza degli oggetti, che descrive la creazione dell’accoppiata romanzo-museo, Pamuk ha redatto anche un “manifesto per i musei”, affermando che rispetto ai grandi musei nazionali, come il Louvre e l’Hermitage bisognerebbe privilegiare musei “più piccoli, più individualisti e meno costosi” che raccontano “storie” piuttosto che la “storia”. Un museo, ha sostenuto lo scrittore premio Nobel, dovrebbe “rivelare l’umanità degli individui”.