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La danza, la mia seconda famiglia

di Giulia Fiore

La mia piccola storia ha avuto inizio nel settembre del 2006, quando per la prima volta sono entrata in quel capannone sperduto, in via Rocco Carabba a L’Aquila, che pian piano è diventato la mia seconda casa. Si chiamava Centro Studi L’Aquila Danza, adesso invece è il Teatro dei 99. Fondamentalmente è rimasto uguale a come era prima di cambiare nome: due camerini, quattro bagni, una costumistica e tre sale, l’unica differenza è che adesso nella sala più grande abbiamo un teatro con tanto di platea. È il posto più bello del mondo ed è il posto in cui sono cresciuta. La danza, dopotutto, è sempre stata il mio porto sicuro, il mio rifugio.

Settembre 2006, avevo compiuto da poco sette anni, e finalmente ero riuscita ad avere la meglio sui miei genitori per farmi iscrivere a danza, anche se sotto ricatto: se volevo davvero fare danza sarei dovuta anche andare a nuoto, ed io lo detestavo.

Dopo una prima prova con Loredana, insegnante di classico e direttrice della scuola, non avevo più nessun dubbio e il giorno dopo ho iniziato le lezioni.

Ricordo ancora la mia prima divisa: body bianco, gonnellino, fascia per capelli, mezze punte numero 32 e rigorosamente calze rosa. Tutti i giorni, inoltre, era d’obbligo fare lo chignon con retina e forcine. Un incubo! Ne è passato di tempo prima che imparassi a farlo!

Oggi come allora sono sempre più convinta che la felicità è entrare nel camerino, togliere i vestiti di tutti i giorni ed indossare finalmente il body e le scarpette e da quel momento sai che niente può più andare storto.

La danza è piena di prime volte: il primo body, le prime scarpette, la prima coreografia, il primo passo a due… ma sicuramente il traguardo più importante nella vita di ogni ballerina che si rispetti, è sicuramente la prima volta sulle punte.

La mia è stata nel gennaio 2009. Prime punte marca B.B.M. numero 33. Me lo ricordo quel giorno, sono entrate in gioco un milione di emozioni; inizialmente c’era l’euforia della novità che si alternava in continuazione con la paura di sbagliare e di cadere, e quante cadute i primi giorni prima di abituarsi; per non parlare del dolore a causa del gesso! Ma dopotutto, “la danza è sofferenza”. E non posso essere più d’accordo, ma ne vale la pena.

Mi ricordo ancora la prima coreografia sulle punte; mi ricordo ogni singolo passo, anche se in realtà non siamo mai riuscite a portarla in scena a causa del terremoto.

Da bambini si studia ogni singola sfaccettatura della danza ed io posso dire di aver provato un po’ tutte le discipline: classico, modern, hip-hop, jazz, contemporaneo, flamenco ed anche tip tap.

Vado fiera infatti di aver collezionato un gran numero di scarpe diverse per ogni tipo di danza e con molto orgoglio, le espongo nel mio museo dell’innocenza.

Quando si inizia a crescere, ogni ballerino si identifica sempre di più con un determinato stile di danza, è naturale. Per quanto mi riguarda, io sono sempre stata più incline all’hip-hop.

Nel 2015 avevamo creato un gruppo, un po’ come le famose crew statunitensi; eravamo intenzionate a partecipare a più rassegne e concorsi possibili, avevamo davvero intenzioni serie. Ci chiamavamo le “Hertz of Silence”, il nome e il logo li avevo scelti io.

La storia dietro al nome, in realtà, è molto buffa e divertente: ogni volta che qualcuno di noi provava a fare una domanda alla nostra insegnante Cinzia, non riceveva mai nessuna risposta. Così un giorno una ragazza dopo l’ennesimo silenzio, disse: “Ha annullato le nostre frequenze”.

Da qui era ovvio che il nome avrebbe dovuto avere a che fare con il silenzio e con la frequenza, un compito arduo visto che sono uno l’opposto dell’altra.

Purtroppo però, si cresce troppo in fretta, e crescendo ci si allontana sempre di più. Il gruppo è stato sciolto. Io però continuo per la mia strada e già da due anni sono diventata assistente ai corsi di hip-hop.

Oggi sono quasi 14 anni che ballo tutti i giorni e la passione ancora non si spegne e credo che non lo farà mai.

Devo molto alla danza perché oltre ad avermi insegnato rigore e disciplina, mi ha permesso di sognare e ha fatto in modo che incontrassi una nuova casa e conoscessi la mia seconda famiglia.

Siamo un gruppo di ragazze e siamo cresciute insieme, abbiamo pianto insieme, abbiamo riso insieme, abbiamo festeggiato insieme, ma tutto questo non sarebbe stato possibile se non fosse stato per i meravigliosi insegnanti che ci hanno accompagnato lungo tutto il percorso. Una famiglia a tutti gli effetti!

A questo punto voglio mostrarvi una lettera stupenda che la nostra attuale insegnante di danza classica, Katjana, ci ha regalato dopo il suo primo anno passato con noi.

Dice: ˂ Questo è il mio grazie a voi per quest’anno passato insieme: “Ci vuole coraggio, bambine… alzarsi in piedi quando gli altri stanno seduti. Scegliere una strada poco battuta, ridere quando gli altri sono seri. Difendere chi non ha il biglietto, ma noi averlo sempre. Andare fuori tema. Vestirsi senza abbinare i colori. Fare cento metri per buttare una cartaccia. Non dare la mano al politico che non ti piace. Fare forca a scuola per studiare in biblioteca. Scrivere il titolo prima della tesi. Dire di sì ad un appuntamento d’amore prima di guardare l’agenda. Leggere un libro in metropolitana. Mettersi il casco. Sorridere. Dire ti voglio bene. Imparare a baciare. Non ballare se la musica è di merda. Ballare se la musica ti piace, anche se nessuno balla. Raccontare la propria storia…Scegliere come vivere, scegliere come morire. Dare baci. Mettersi un naso da clown…Crescete pure ma rimanete piccole, fate dispetto a chi vi vorrebbe senza sogni pericolosi… siate ribelli, praticate gentilezza!” Saverio Tommasi. Vi voglio bene, Katjana˃

A volte mi ricordo di quando da bambina guardavo con occhi meravigliati “le grandi” perché non vedevo l’ora di diventare come loro ed oggi io sono “grande”. A volte vado a danza anche se non ho lezione, solo per stare “in famiglia”. A volte nessuno ha voglia di fare classico. A volte soltanto guardandoci negli occhi scoppiamo a ridere, anche durante una coreografia seria. A volte ridiamo così tanto da cadere a terra. A volte proviamo a corrompere l’insegnante con baci e abbracci per non fare i “fondu”, i “frappè” o gli adagi. A volte ci incontriamo prima dell’inizio della lezione per sederci in direzione e studiare insieme. A volte facciamo teoria e scriviamo sul nostro quadernino tutti gli esercizi. A volte proviamo ad evitare la diagonale di modern con scarsi risultati. A volte i bambini mi chiamano “maestra”. A volte litighiamo, urliamo, piangiamo, ci arrabbiamo, ma poi facciamo subito pace. A volte ordiniamo una pizza o il cinese e mangiamo insieme in direzione. A volte Katjana monta una coreografia e il giorno dopo sbaglia tutti i passi. A volte ci rimproverano perché parliamo troppo mentre balliamo. A volte durante le lezioni entriamo in confusione perché ci ricordiamo che la diagonale va fatta anche a sinistra. A volte ci arrabbiamo perché non ci esce nemmeno il secondo giro. A volte facciamo dei video per non dimenticare le coreografie, ma poi dimentichiamo di aver fatto dei video. A volte se manca una persona entriamo nel pallone perché non sappiamo più a chi copiare.

A volte vorrei che questi momenti non finissero mai e durassero in eterno, perché per me la danza è questo: la felicità!


 

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