“La testa bulbosa del contadino Marz stava reclinata tra le spalle e il cappello: le orecchie dritte, un occhio chiuso e uno aperto nascosti nell’ombra gettata dalla tesa”. Marz aspetta nel suo campo di rape che arrivi il nemico “coi porcai di Banden-Banden e i mastri ferrai di Feldenburg”.
Comincia così questa storia grottesca e paradossale; in un paese incastrato in una conca profonda sotto il livello del mare. Una pioggia fitta e insistente, un diluvio finisce per riempirla fino all’orlo. Il paese è sommerso: c’è qualcosa che ottura la valvola del canale di scolo…
Siamo in un luogo senza tempo da qualche parte nel cuore dell’Europa; forse nella prima metà del ‘900, così sembrano suggerire alcuni dettagli come il telegramma, la sigaretta, il furgoncino di latte, i caratteri tipografi del passaporto di Lisetska. Allo stesso tempo, sembra di essere entrati in un buio Medioevo dove quel diluvio e la follia che scuote e inebria i personaggi fanno pensare alle storie sulla fine del mondo.
Ma fin dall’inizio il macabro cede il passo al grottesco, a un’abile narrazione in chiave comica dal ritmo incalzante che investe e travolge ogni cosa trasformando la tragedia in farsa: Krauss si suicida tagliandosi le vene con un pennino, il mite signore Keller si rivela un folle che stupra la giovanissima Nana, l’adultera Lisetska diventa per il Pastore Thulin la strega che ha portato la scagura sul paese. Personaggi che sembrano usciti dai dipinti di Bruegel e Bosch ma anche Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, divertenti e inquietanti allo stesso tempo.
Questa commedia travestita da giallo procede in bilico tra narrazione epica e ambizione tragica, in realtà profondamente comica, di una comicità antica, che però sembra proprio alludere clownescamente al nostro reale contemporaneo.